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Fede e ragione non sono in contrasto fra loro e dialogano per comprendere la rivelazione divina

L’eredità teologica di Jean Daniélou

Cinquant'anni fa moriva il cardinale Jean Daniélou, uno dei teologi più rappresentativi del Concilio Vaticano II

L’eredità teologica di Jean Daniélou

Nato nel 1905 a Neuilly-sur-Seine, entrò nel 1929 nella Compagnia di Gesù dove sviluppò un forte interesse per la teologia patristica e per la spiritualità cristiana. Proseguì i suoi studi biblici presso lo Scolasticato gesuita di Lyon-Fouvière, completando la sua tesi in teologia solo dopo l’esperienza tra le forze aeree impegnate nella seconda guerra mondiale. Ordinato presbitero nel 1938 fu nominato cappellano del collegio femminile di Sèvres dove fondò, insieme al gesuita Henri de Lubac, la collana “Sources Chrétiennes” dedicata alla diffusione degli insegnamenti dei Padri della Chiesa e degli scrittori cattolici antichi, medievali ed ebraici. Fu redattore della rivista Études, cappellano dell’École Normale Supérieur de Sèvres, quindi docente di storia antica del cristianesimo. Per volontà di Giovanni XXIII fu eletto membro esperto del Concilio Vaticano II, mentre collaborava alla rivista Esprit di Mounier specializzata su temi di attualità, di storia e di filosofia. Nel 1969 assunse la carica di arcivescovo di Taormina e, subito dopo, quella di vescovo di Parigi. Nello stesso anno Paolo VI lo nominò cardinale lodandone la competenza erudita e lo zelo ardente per l’apostolato. Il filosofo fu in perfetta sintonia con Papa Montini e con l’apertura progressista che quest’ultimo diede alla chiesa. Fu eletto all’Académie française per il controllo sulla lingua francese, prendendo il posto del cardinale Eugène Tisserant, e divenne cavaliere della Legion d’Onore. Insieme a Yves Congar e Henri de Lubac fu uno dei massimi esponenti della “Nouvelle Théologie”, un movimento finalizzato ad innescare un rinnovamento in seno alla teologia cattolica, con un ritorno alle fonti patristiche e bibliche e un distacco dalla scolastica. Lo scopo era quello di adattare la chiesa allo spirito dei tempi, seguendo la corrente modernista. Il movimento si attirò, per questo motivo, le antipatie di Pio X che lo bollò come “sintesi di tutte le eresie”. Daniélou difese la libertà teologica pur consapevole della necessità di dover tutelare il deposito della fede. Era il 20 maggio 1974 quando il prelato francese, giunto all’età di sessantanove anni, morì d’infarto nell’appartamento di una giovane prostituta corsa. Il cardinale fu oggetto di calunnie feroci, sia da parte di diverse frange ecclesiastiche sia da parte dei suoi stessi confratelli gesuiti. Fu sollevato, tuttavia, da ogni sospetto quando si capì, dopo un’attenta analisi della sua azione pastorale, che tra i suoi doveri c’erano anche la conversione e il sostentamento economico di prostitute e di gente di malaffare. Paolo VI espresse tutto il suo dolore per via del profondo legame che lo univa al gesuita. Fu numerosa la schiera di persone che difese l’onorabilità del porporato, tra cui il suo amico filosofo gesuita Xavier Tilliette e l’intellettuale de Lubac. Quest’ultimo ricordò nel libro “Memorie intorno alle mie opere” (1992) l’austerità in cui viveva Daniélou a Parigi, ma anche il sorriso che mantenne nonostante la campagna diffamatoria contro di lui. I suoi sostenitori intravidero nell’incontro con la ragazza una rivelazione che diede senso a tutto il suo operato: misericordia per lui e redenzione per lei. Visse il suo apostolato a contatto con i diseredati, con gli inetti e con i malavitosi che necessitavano di una guida caritatevole per dare una svolta positiva alla loro esistenza, anche a costo di mettersi in una situazione imbarazzante agli occhi dell’opinione pubblica. Disse una volta a Maurice Druon che “non è tra i santi che si fanno le conversioni”. La sua missione ad extra, attenta ai margini del mondo ecclesiale ed espressione di fedeltà alla concreta vita di Gesù, ricorda molto quella di Bergoglio, sempre vicino agli ultimi. La sua vasta eredità teologica e pastorale è parte dello sterminato patrimonio universale della Chiesa. Il teologo studiò a fondo il dialogo tra fede e cultura, il rapporto tra natura e grazia per determinare la volontà della persona, il metodo per avvicinarsi alle meraviglie di Dio, le religioni del mondo e i movimenti significativi del suo tempo come il marxismo. In particolare sostenne che ragione e fede non sono in contrasto fra loro, si completano a vicenda e collaborano per comprendere accuratamente la verità divina. Ciò è possibile facendo comunicare teologia, filosofia e scienze. La sua produzione letteraria è stata recentemente raccolta in un volume bibliografico presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma (“L’opera di una vita, APRA, Roma 2024”), comprensivo di circa ottanta libri e di oltre 1500 articoli. Il suo testo più importante è “Il segno del Tempio ovvero della presenza di Dio” (1942) che sintetizza un po’ tutto il suo pensiero. In quest’opera il gesuita presenta la storia come “akolouthia”, vale a dire come una progressione temporale nel corso della quale Dio guida gli uomini verso il futuro ultimo, che trova pieno compimento nel mistero pasquale di Cristo morto e risorto. Il tempio è il segno della presenza del Dio trinitario: tutto inizia nel tempio cosmico della creazione, quando l’uomo si ritrova faccia a faccia con Dio; si passa al tempio dell’Alleanza, contraddistinto da Dio che è presente con la sua gloria a Gerusalemme, per poi giungere al tempio del sacrificio rituale e compiuto con la morte in croce di Cristo. Alla fine inizia il tempio della Chiesa, all’interno della quale vive la presenza sacramentale del Risorto. Il concetto cardine è che la pienezza dell’umano si trova solo nella comunione con Dio rivelato in Cristo. Benedetto XVI ebbe modo di conoscere Daniélou durante i lavori conciliari e, nel 2006, scrisse: “Come non ricordare la figura di questo teologo della Compagnia di Gesù … La sua attenzione alla verità e il suo dinamismo missionario invitano i nostri contemporanei ad annunciare il Vangelo nel mondo della cultura e della scienza, mettendo in campo tutte le risorse della ragione e dell’intelligenza, rimanendo fissi su Cristo, che è la via, la verità e la vita”. Ratzinger e Daniélou furono accomunati dall’amore per la liturgia, per la teologia e per i Padri della Chiesa, erano attenti allo studio delle religioni e al mistero della storia, oltre ad essere affezionati alla filosofia e alla metafisica. Oggi sono considerati punti di riferimento per gli attuali studi di ontologia trinitaria, quel settore di ricerca che scava nell’atto della creazione per trovare l’origine trinitaria. La loro bravura sta nella capacità di parlare agli uomini del loro tempo con chiarezza espositiva. Uno dogmatico (Benedetto) l’altro patrologo (Daniélou), entrambi educati alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, entrambi ordinati cardinali da Paolo VI. In molti casi furono trattati in maniera superficiale sia in ambito patristico (il gesuita) che in quello esegetico (Benedetto). Benedetto XVI citò anche nei suoi testi “Gesù di Nazaret” (2007) e “L’infanzia di Gesù” (2012) il francese definendolo “eminente studioso dei padri”. 

L’eredità teologica di Jean Daniélou
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